sabato 1 settembre 2012

[Record Club] Havoc and Bright Lights, Alanis Morissette

Ho visto Alanis Morissette dal vivo lo scorso luglio, all'Hydogen Festival di Piazzola sul Brenta. Palco scarno, band figa, leggings eco pelle Zara e soliti capelli lisci e lunghi come se il 1995 non fosse mai passato e in tv ci fosse ancora l'ultima stagione di Blossom. 
E' stato un concerto puramente di musica, neanche un ledwall capace di distrarti pochi secondi da ciò che accadeva sul palco. Setlist da greatest hits e alcuni (pochi) inediti tratti dal nuovo album che sarebbe poi uscito ad Agosto.
Impeccabile esecuzione sulla quale non mi soffermo, quale persona cresciuta negli anni 90 non si  emozionerebbe su Ironic? Chi non ha mai urlato You Oughta Know a qualcuno?
Ciò che mi ha realmente colpito è che è stata a prima volta in cui ho visto un'artista così distaccata e poco partecipe sul palco, Britney Spears a parte. Alanis ha cantato, intrattenuto, ha fatto bene il suo lavoro e nulla di più. 

Peccato, anche perché il nuovo disco, Havoc and Bright Lights, fornisce molti spunti visivi per offrire ai fan qualcosa in più. Atmosfere ariose, corpose e piene che offrono un pop a volte soffocato dalle chitarre e dalla batteria live. 
Prodotto da il praticamente a me sconosciuto Joe Chiccarelli e il ben più noto Guy Sigsworth, il primo singolo, Guardian, è un riassunto di tutto ciò che è il disco: trecce prodotte e poi ri-prodotte, da due artisti musicalmente molto lontani. La formula Chiccarelli+Sigsworth si ripete per metà delle tracce presenti in Havoc and Bright Lights, e allora ecco i suoni elettronici, astratti e inventati dal nulla da Sigsworth che vengono letteralmente stuprati dagli strumenti dal vivo di Chiccarelli. L'esperimento funziona in canzoni come Guardian, Woman DownCelebrity e Havoc (le uniche due canzoni di questo disco destinate a durare nel tempo), mentre in altre tracce fallisce miseramente regalandoci un pop rock a metà strada tra Michelle Branch e Vanessa Carlton che sembra appositamente scritto per uno spot televisivo a caso. La cosa si ripete per molte tracce prodotte da Chiccarelli (come EmpathyWin and Win e Receive), giocare a trovare il colpevole quindi risulta semplice.

Ciò che forse non delude sono le liriche (tipico punto di forza delle canzoni di Alanis): geniale il testo di Celebrity dedicato a chissà quale sgualdrina del pop (''I'm a tattooed sexy dancing monkey''), spigoloso quello di Woman Down, giusto un filo prima delle carie si ferma quello di 'Till You e topico il testo di Havoc.

Forse ci si aspettava qualcosa di più dal primo album di Alanis pubblicato sotto etichetta indipendente, invece Havoc and Bright Lights sembra quasi una foto di Annie Leibovitz passata sotto un filtro a caso di Instagram che l'ha rovinata per sempre; eppure, pur non facendo gridare al ''capolavoro'', il disco non delude. Nel suo complesso suona bene, le canzoni sono posizionate lì dove dovrebbero essere e l'una appartiene all'altra. Probabilmente smetteremo di ascoltare l'intero disco tra un paio di mesi (con le dovute eccezioni), ma per ora metterlo in auto e lasciarlo scorrere è piacevole.






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